Qual è l'impatto delle creme solari sul mare?

Le creme solari hanno un impatto negativo sulla salute dell’oceano e dei suoi abitanti. Cosa possiamo fare noi per tutelare il mare?

Scritto da
Gaia Maria Sole Intonti, IOC-UNESCO Intern
Data di pubblicazione
21 June 2022
Tempo di lettura
5 minuti

Ormai abbiamo imparato che è assolutamente necessario utilizzare delle creme per proteggerci dai dannosi raggi solari, così da evitare le dolorose scottature e prevenire danni a lungo termine alla nostra pelle. Ma bisogna fare attenzione quando si acquista la crema: l’impatto delle creme solari in mare può creare danni ad alcune specie.

Perchè le creme solari danneggiano l’oceano?

Diversi studi hanno dimostrato come le creme solari abbiano un forte impatto sulla salute del nostro oceano e di molti suoi abitanti. Non a caso infatti, diverse mete tropicali dove esiste un consolidato mercato turistico costiero e marittimo ne hanno bandito l’utilizzo. Un esempio eclatante è quello del Governo delle Hawaii, che nel 2018 ha emanato l’Hawaii Reef Bill, per mettere al bando l’utilizzo di filtri solari contenenti alcune sostanze chimiche ritenute dannose per l’ecosistema marino.

Antonio Gabola from Unsplash

Nello specifico, le creme solari:

  • possono alterare la crescita ed il processo fotosintetico delle alghe verdi;
  • possono accumularsi nel tessuto dei coralli, causandone lo sbiancamento, alterazioni genetiche e fisiche del corallo o, ancora, causarne la morte;
  • possono provocare malformazioni nelle larve dei giovani molluschi;
  • possono danneggiare il sistema immunitario e riproduttivo dei ricci di mare o causarne la morte;
  • possono ridurre la fertilità e generare organi maschili negli individui femmina dei pesci (questa alterazione viene detta  “imposex”, che significa sovrapposizione di caratteri maschili a quelli femminili presenti nelle femmine);
  • possono accumularsi nei tessuti dei delfini e trasferire questo accumulo di composti chimici nella prole.

Le sostanze chimiche dannose all’interno delle creme solari appartengono alla categoria UVF, ovvero filtri ultravioletti, necessari ad assorbire e riflettere i raggi UV-A e UV-B. Si tratta di sostanze sia organiche (ad esempio benzofenoni, p-aminobenzoati e canfora) sia inorganiche [ad esempio ossidi di nanoparticelle: biossido di titanio (TiO2) e ossido di zinco (ZnO)]. I componenti delle protezioni solari entrano nell’ambiente marino, disperdendosi sia nella colonna d’acqua sia nei sedimenti, come conseguenza dell’immissione diretta da parte dei bagnanti ma anche, indirettamente, attraverso gli scarichi di acque reflue domestiche e industriali. Questi inquinanti emergenti sono talmente diffusi che stanno cominciando ad intaccare anche i bacini di acqua dolce come fiumi e laghi.

Posidonia oceanica: quanto è sensibile questa pianta marina mediterranea alle creme solari?

Alcuni filtri solari inquinanti come ossibenzone (BP3), 4-metilbenzilidene canfora (4-MBC), metilparabeni, avobenzone 4-metile, benzofenone (BP4), benzotriazole (MeBZT) sono stati ritrovati anche nelle fronde e nei rizomi della Posidonia oceanica. Posidonia è una pianta marina endemica del Mediterraneo che si estende in ampie praterie e che offre numerosi servizi ecosistemici: è casa per moltissime specie marine, soprattutto in fase giovanile, fornisce protezione dall’erosione costiera e sequestra biossido di carbonio dall’atmosfera.

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L’accumulo di queste sostanze tossiche all’interno di Posidonia ha effetti ancora incerti, ma gli studiosi sono già in allerta sulle possibili conseguenze sia a livello fisiologico – come le alterazioni dei processi riproduttivi e di fotosintesi – sia a livello ecosistemico -.

Considerando la conformazione del Mar Mediterraneo in quanto bacino semichiuso e con ridotto ricircolo di acqua, i livelli di inquinanti possono raggiungere concentrazioni elevate in poco tempo. Da tenere conto è anche la forte pressione antropica presente in quest’area data dalle attività industriali e dal turismo, l’immissione di nutrienti e le ondate di calore che aumentano repentinamente la temperatura delle acque. Tutti questi fattori possono produrre effetti sinergici, mettendo a dura prova la sopravvivenza di questa pianta marina.

Vista l’importanza chiave di Posidonia in questo ecosistema, è bene diffondere la consapevolezza legata ai danni ambientali causati da queste sostanze inquinanti contenute all’interno delle protezioni solari, regolamentandone l’uso e fornendo alternative sostenibili per la protezione dei bagnanti. La perdita delle praterie di Posidonia si è già dimostrata fortemente dannosa in diverse aree costiere, bisogna agire per tutelarla.

Attenzione al greenwashing e al bluewashing!

Nonostante l’emergenza causata da questi prodotti, non esiste ancora una legislazione chiara riguardo l’utilizzo dei filtri solari dannosi in molte parti del Mediterraneo. Con l’attenzione mediatica che sta finalmente ricevendo l’oceano ed il tema della sostenibilità in generale, alcuni brand fanno leva su queste tematiche, mettendo in commercio creme “sicure per la barriera corallina”. Viene assicurata infatti l’assenza di ossibenzone, ma questi prodotti contengono comunque altri filtri solari dannosi per l’ecosistema marino. Per questo è importante leggere bene l’INCI e non fidarsi solo di un bollino presente nella confezione.

Cosa possiamo fare?

È cruciale informarsi prima dell’acquisto. Oltre all’acquisto di creme ocean-friendly, quindi prive dei composti chimici prima menzionati, un semplice esempio da seguire per ridurre il consumo di creme solari e diminuire l’impatto sull’ambiente marino è quello di evitare le ore più calde e proteggersi dal sole con gli ombrelloni, o indossando indumenti appositi anche mentre si fa il bagno in mare.

Charl Durand by Pexels

Bibliografia:

  • Nona S.R. Agawin, Adrià Sunyer-Caldú, M. Silvia Díaz-Cruz, Aida Frank-Comas, Manuela Gertrudis García-Márquez, Antonio Tovar-Sánchez, Mediterranean seagrass Posidonia oceanica accumulates sunscreen UV filters, Marine Pollution Bulletin, Volume 176, 2022